Come tutti gli ambiti, il motociclismo ha dei falsi miti che andrebbero contestualizzati per chi entra nel nostro magico mondo. Altrimenti ci si crea un idea distorta.
Il più vero dei falsi miti del motociclismo
“Tra motociclisti siamo tutti fratelli”
Dispiace iniziare la disamina decostruendo un concetto così bello. Una passione unisce e questa massima è vera fintantoché ci si confronta con chi non la ha. Ma in profondità, ciascun motociclista è convinto di aver comprato il mezzo migliore ed avervi apportato le modifiche migliori. Non c’è scambio di opinioni che tenga.

“I motociclisti sono pazzi ed incoscienti”
Credete davvero che chi va su 2 ruote sia un incosciente? Ancor più, chi va in pista e piega ad oltre 200 km/h con una superficie di contatto col terreno pari ad una tessera sanitaria? Salvo casi senza rimedio, un motociclista deve essere assennato 3 volte: per lui, per l’eventuale passeggero e per gli automobilisti distratti.
E dove ti porta lo decide lei…
“La moto ti porta a correre”
Posto che dobbiamo vedere quale moto. Ma quand’anche parlassimo della più blasonata Supersportiva 1000, è scientificamente provato che finché non si apre il gas, la moto neanche cammina. Occorre più attenzione, questo sì. Ma la prima e l’ultima parola spettano sempre a chi guida.

“Quella moto è ingestibile”
La si prenda come una critica costruttiva e senza alterigia. Quando una moto è “ingestibile” è per forza colpa di chi la guida. Gli ingegneri progettano pur sempre dei mezzi di locomozione, non delle catapulte. Se poi apriamo il gas su un motard 450 come sullo scooter 125…
Olim
“Ai miei tempi le moto costavano meno”
Prima di ringraziare cose che ben conosciamo per la riflessione, aggiungiamo che il prezzo delle moto ha vagamente seguito l’inflazione e l’aumento del costo della vita. Una Yamaha R1 costava 23 milioni di lire quando lo stipendio medio era di circa 2 milioni al mese: 1 anno di lavoro (come pagarla oggi 18-20.000 euro). Una Cagiva Mito 125 costava 8 milioni di lire nel periodo in cui lo stipendio di un operaio era 1 milione e mezzo al mese (come se oggi costasse 8.000 euro).


Andando a ritroso nel tempo, nel film Amarsi un po’, il giovane Marco Coccia (alias Claudio Amendola) afferma di aver pagato la sua Yamaha 900 7 milioni e mezzo di lire nel 1984, quando ne prendeva circa 5-600.000 al mese (come pagarla oggi 14-15.000 euro). Ci sarebbero riflessioni su riflessioni di natura socio-economica, ma non è questa la sede.
“Ad andar forte con l’elettronica son capaci tutti”
Ad andar mediamente allegri sì. Il punto è portare al limite un mezzo. Ascoltarne e prevederne le reazioni. Se si apre il gas, sperando che l’elettronica ci riporti indenni al box, magari con un tempone, meglio prepararsi alle “gambe viola”.

“I veri piloti erano quelli di una volta”
Con il massimo del rispetto per la loro grandezza, molti piloti conducevano una vita sregolata. Fumavano persino in griglia di partenza (e non sempre era semplice tabacco) e non si allenavano. Coraggio da vendere ma fisico trascurato. Oggi non arriverebbero neppure a fine gara.
Ma quanti falsi miti questo motociclismo!
Ma no, il nostro mondo è bello proprio per questo. Per il pluralismo e la possibilità di raccontare ciascuno la propria storia. Vere o inventate fa niente. Così come la stessa amicizia, anche il motociclismo non impone di pensarla tutti allo stesso modo. Importante è divertirsi. Quando c’è questo elemento, le moto sono ogni giorno una nuova avventura.