Poche settimane fa, scrivevamo un articolo circa i migliori anni del Motociclismo sportivo. Definire quale sia stata la migliore epoca di un determinato settore, può portare a conclusioni scontate e viziate dalla nostalgia. Lo stesso si potrebbe dire circa le Supersportive degli anni ’80 e ’90: il loro valore di mercato aumenta, anzichè decrescere; il contenuto tecnico ed i riscontri alla guida sono ancora positivi; la nostalgia per le filosofie costruttive “alla vecchia maniera” è sempre maggiore. Ma è nostalgia di ciò che era o di ciò che ricordiamo?
Supersportive anni ’80 e ’90
Negli anni ’80 e ’90, il traguardo dei 16 anni significava una sola cosa per i giovani appassionati: 125cc. Si potevano guidare su strada dei missili terra-aria (se rapportate ai 50ini), le cui prestazioni erano equiparabili a quelle di una moderna Supersportiva 300 4t o simili (Yamaha R3, Ninja 300, Honda CBR500 etc.). Basta fare qualche nome affinchè agli appassionati scenda la lacrimuccia: Aprilia RS, Cagiva Mito, Honda NSR. Tutte fotografie di un’epoca motociclistica incentrata sul divertimento. Benchè velocissime già di serie, i preparatori si sfidavano sul filo del cavallo in più, propronendo componenti aftermarket da applicare. Il fatto che i motori 2 tempi fossero di gran lunga più semplici dei 4, li rendeva irresistibili all’elaborazione. Parimenti, proliferavano i trofei Monomarca, la Sport Production e numerosi campionati nei quali si poteva correre a prezzi modici. Esattamente, una catena prolifica di introiti e forse futuri campioni. Anche quì, portiamo qualche nome: Loris Reggiani, Luca Cadalora, Loris Capirossi, Max Biaggi, Valentino Rossi, Andrea Dovizioso, Michel Fabrizio etc.
Value for money
Salendo di cilindrata, si amplifica il discorso: se spendere soldi per modificare una 125 da 30 cv può sembrare irrazionale, le cilindrate comprese tra 250 e 500cc rendevano il discorso più interessante. Un’Aprilia RS 250 di 20 anni fa, ad esempio, sprigionava circa 70 cv, che sommati alla sua leggerezza, la trasformava in una vera regina del misto stretto (e delle piste tortuose). La sua valutazione è pari, se non maggiore, ad una 600 4 cilindri di 10 anni fa. Stesse considerazioni se prendessimo una Yamaha RD350: il fascino che evoca supera di gran lunga il contenuto tecnologico messo a disposizione. Eppure le sue quotazioni superano di gran lunga quelle di Supersportive 1000cc di 15 anni più nuove. Fino ad arrivare alla regina: la Suzuki RG500: un mostro spinto da un motore 2 tempi, appuntito e spigoloso, capace di inebriare l’atmosfera con una semplice “sgasata”.
Poi, le limitazioni, i catalizzatori, il problema dell’inquinamento, la preoccupazione (più che legittima) a temi come la sicurezza, i consumi e la sostenibilità. Poi il buio. Ma non tutto è perduto.
Tanta voglia di lei
L’arrivo di motori 4 tempi non ha spento l’entusiasmo dei veri appassionati, che hanno visto questo passaggio come un’evoluzione, anzichè un limite. Gestire una Yamaha R1 o, per par condicio, una Ducati 998 non è da tutti. Infatti, il campanilismo più presente nel mondo dei motori, divide le moto “tutto polso e niente controlli” da quelle colpevoli di tecnologia. Le Supersportive anni ’80 e ’90 piacciono ancora proprio per questo: I loro motori scalciano, le loro ciclistiche puniscono e la manutenzione richiesta è frequente. Però piacciono.
L’uomo è notoriamente attratto da ciò che non ha, romanticamente nostalgico di ciò che ha avuto e scanzonatamente orgoglioso di ciò che ha vissuto. I commenti denigratori verso la modernità c’erano anche 20 anni fa: a cambiare di volta in volta è solo l’oggetto del desiderio. Il motociclismo è anche questo: godiamocelo sempre.